domenica 12 maggio 2013

La cellulite arriva dagli alimenti


LM&SDP
Gli specialisti in medicina estetica riuniti a Roma per il XXXIV Congresso nazionale della Società italiana di medicina estetica (Sime), che ha aperto i battenti ieri 10 maggio, discutono del ruolo degli Ages (Advanced Glycation End-products) nella formazione del fastidioso inestetismo estetico conosciuto con il nome di cellulite – una condizione che affligge la maggioranza delle donne.

Questa sorta di inquinamento degli alimenti cotti è «del tutto sottovalutato», commenta all’ADN Kronos il dottor Luigi Rossi, medico specialista in Scienza dell’alimentazione e medicina preventiva e professore dell’Università di Bologna.
Questo più o meno alto inquinamento da Ages degli alimenti, secondo gli esperti dipende soprattutto dalla temperatura, tempo di cottura e presenza di vapore.

«Alimenti cotti ad alte temperature, bevande e cibi ricchi di zuccheri raffinati – spiega il dottor Rosssi – sono una grossa fonte di Ages, complessi molecolari composti dall’unione tra il glucosio e le proteine, in particolare il collagene, che rendono i tessuti cutanei rigidi e fragili, provocando la comparsa delle rughe», e della cellulite.

«Il rischio – prosegue Rossi – aumenta del 13% introducendo un milione di unità Age al giorno, in pratica l’equivalente di una fetta di torta o a 150 grammi di frittura o a 200 grammi di carne alla brace. Le conseguenze dell’accumulo di Ages nell’organismo non si vedono da giovani, ma cominciano a farsi sentire dopo i 35 anni. Non è possibile azzerare l’introito di Ages, ma è possibile ridurlo seguendo una dieta a basso contenuto di zuccheri, privilegiando cibi crudi o cotti al vapore, riducendo il consumo di bevande zuccherate e cibi industriali».

«La cosiddetta cellulite, in termini scientifici “Pannicolopatia edematofibrosclerotica” – sottolinea Emanuele Bartoletti, presidente del congresso – è da sempre al centro dell’attenzione in medicina estetica e ogni anno, in occasione dell’incontro scientifico della Sime, si fa il punto della situazione nella ricerca continua su questo tema. Le novità di quest’anno apportano un significativo contributo alla validazione di nuove metodologie diagnostiche e correttive su questa comune patologia».

Occhio dunque agli Ages, se non vogliamo ritrovarci con una pelle troppo in là con gli “ages”.

Peperoni e pomodori per ridurre il rischio di Parkinson


LM&SDP
Ci sono cibi che contengono naturalmente nicotina. E’ una presenza bilanciata che non produce gli effetti negativi se assunta, magari, in altre forme.
Questa sostanza, secondo uno studio dell’Università di Washington a Seattle, sarebbe capace di ridurre il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.

Quando vi è una perdita di cellule cerebrali atte a produrre dopamina, accade che possano insorgere i disturbi del movimento tipici della malattia di Parkinson. Tra questi, vi sono i noti tremori a viso, mani, braccia e anche gambe. Altri sintomi possono essere rigidità degli arti, difficoltà di movimento e lentezza, perdita di equilibrio.
Ogni anno sono migliaia i nuovi casi di Parkinson segnalati e, allo stato attuale, non esiste una cura: si possono soltanto trattare i sintomi farmacologicamente o con altre procedure.

La presenza naturale di nicotina è caratteristica delle piante appartenenti alla famiglia delle solanacee  – di cui fa parte anche la pianta di tabacco. Tuttavia, gli studi sugli effetti di questa sostanza assorbita per mezzo di quest’ultima pianta sono contradditori e non è chiaro se fornisca o meno un effetto protettivo.

In questo nuovo studio, la dottoressa Susan Searles Nielsen e colleghi dell’Università di Washington a Seattle hanno reclutato 490 pazienti con diagnosi di malattia di Parkinson ricevuta poco prima e altri 644 soggetti che non presentavano condizioni neurologiche, che avrebbero fatto da gruppo di controllo.
Per valutare l’apporto di nicotina nella quotidianità, ai partecipanti sono stati distribuiti dei questionari atti a sondare il tipo di dieta seguito e l’uso di tabacco.

Dai dati raccolti e le analisi si è scoperto che il consumo di verdure in generale non influenzava il rischio di Parkinson, mentre invece il consumo in particolare di solanacee riduceva questo rischio. Di queste, i peperoni si sono dimostrati i più efficaci nella riduzione del rischio.

Il dato interessante è che l’ipotizzata protezione è risultata essere attiva principalmente negli uomini e nelle donne che non avevano mai fumato o che lo avevano fatto per un ridotto periodo di tempo. Il dato è interessante proprio perché il tabacco è la pianta che contiene più nicotina di tutte quelle oggetto dello studio.

«Il nostro studio – spiega Searles Nielsen nel comunicato UW – è il primo a indagare l’apporto di nicotina nella dieta e il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson. Simile ai molti studi che indicano che l’uso del tabacco potrebbe ridurre il rischio di Parkinson, i nostri risultati suggeriscono anche un effetto protettivo della nicotina, o forse una sostanza chimica simile, ma meno tossica nei peperoni che nel tabacco».

La scoperta, secondo i ricercatori è importante perché potrebbe portare a nuove vie da seguire nella ricerca di una cura per questa malattia. Ulteriori studi, per approfondire, sono dunque raccomandati.