lunedì 18 febbraio 2013

queste sono le scuse che usano gli uomini per sottrarsi al sesso

Di solito per lei è questione di mal di testa o di dolori legati all’imminente arrivo del ciclo. Ma non crediate che soltanto le donne siano in grado di sottrarsi ad un rapporto sessualeaccampando una scusa. Secondo un’indagine condotta da LloydsPharmacy Online Doctor, uno dei siti di medicina più cliccati del Regno Unito, gli uomini che non hanno voglia di concedere al partner la classica ora d’amore sono più fantasiosi di quanto non si pensi. I risultati del sondaggio, messo a punto su un campione di 2000 soggetti, segnalano che in testa a questa particolare classifica di bugie si colloca, con il 60%, l’eccessiva fatica dovuta alla giornata lavorativa seguita, con il 49% delle preferenze, dall’ammissione di essere poco ispirato. Nei gradini più bassi della black list figurano la messa in onda del programma tv preferito o della partita della squadra del cuore, l’impellenza di accompagnare il cane a fare i bisogni, ma anche il dover terminare a tutti i costi la partita con la play station. Ad una prima attenta analisi dei risultati, dal sito fanno sapere che, per lo più, gli uomini si sottraggono al sesso solo temporaneamente, anche se dietro al 7% delle situazioni possono nascondersi problemi legati alla disfunzione erettile. Se nel Regno Unito tale patologia risulta in aumento, secondo il sondaggio soltanto una minoranza di donne riesce a comprendere quanto essa incida sui desideri sessuali del partner.
http://www.ilmessaggero.it

il miglior modo per prendere la giusta decisione?.......è distrarsi

Se abbiamo un problema che ci assilla, se dobbiamo prendere una decisione o risolvere una questione, pensarci troppo su potrebbe essere controproducente. Al contrario, distrarsi, pensare ad altro o addirittura non pensarci proprio, magari dormendo, aumenta di fatto le probabilità che la soluzione arrivi.

Ecco quanto suggerito da un nuovo studio condotto dai ricercatori Usa della Carnegie Mellon University (CMU) che conferma e amplia quanto già sostenuto da un precedente studio, ossia che bastano due minuti di distrazione per far sì che il cervello sia in grado di valutare meglio una situazione e farci prendere una decisione in merito a una scelta.

In questo nuovo studio, il dottor David J. Creswell e colleghi dell’Health and Human Performance Laboratory hanno reclutato 27 adulti sani che hanno poi collegato a un sistema di neuroimaging al fine di osservare i processi cerebrali. Durante questa fase, i partecipanti hanno ricevuto informazioni riguardanti beni e oggetti come, per esempio, delle automobili. I volontari dovevano poi prendere delle decisioni al riguardo.
Prima che prendessero queste decisioni, i partecipanti sono tuttavia stati invitati a espletare un compito matematico che consisteva nel memorizzare sequenze di numeri – il compito aveva il ruolo di distrarre i soggetti dal dover prendere la decisione precedente circa la scelta di un’auto.

I risultati ottenuti hanno mostrato che il cervello riesce a lavorare, per così dire, in background, ossia riesce a elaborare in modo inconscio le informazioni anche quando si è impegnati in altre attività che distraggono.
«Questa ricerca comincia a sgretolare il mistero sul nostro cervello e i processi decisionali inconsci – spiega nel comunicato CMU il prof. Creswell – Questo dimostra che le regioni del cervello importanti per le decisioni rimangono attive anche quando il nostro cervello può essere contemporaneamente impegnato in attività non correlate, come pensare a un problema di matematica. La cosa più intrigante di questa scoperta è che i partecipanti non avevano alcuna consapevolezza che il loro cervello stavano ancora lavorando sul problema di decisione mentre erano impegnati in un compito estraneo».

Le immagini ricavate con la Functional Neuroimaging (o funzionale) hanno confermato che vi era un’attivazione della corteccia visiva e prefrontale, due regioni note per essere responsabili dei processi di apprendimento e quelli decisionali quando i partecipanti erano stati sottoposti alla presentazione dei prodotti su cui avrebbero dovuto prendere una decisione. Ma non solo, infatti queste stesse aree del cervello erano attive anche quando i partecipanti sono stati distratti con il compito matematico.
Infine, i risultati dello studio, pubblicati su Social Cognitive and Affective Neuroscience, hanno mostrato che più vi era attività nelle cortecce e più i partecipanti erano in grado di prendere la decisione migliore. Una dimostrazione che distrarsi fa bene anche quando ci si trovi a dover decidere per un qualcosa, che sia un acquisto, un lavoro, un sentimento e via dicendo
.http://www.lastampa.it

La gelosia è femmina. Specie su Facebook


L’abitudine di postare sul social network messaggi, umori, foto e quant’altro passa per la testa in un dato momento può essere deleteria per i rapporti, specie quello di coppia. Quanto pubblicato su Facebook pare faccia scatenare la gelosia, in particolare nelle donne

Se ci sono dei problemi nel rapporto di coppia, sentimenti di contrasto o anche di aspettativa più o meno velata verso nuove conoscenze è sempre bene che questi rimangano tra le persone coinvolte – in sostanza, i panni sporchi si devono lavare a casa propria.
Perché tutto ciò? Perché, specie se la donna può pensare – non necessariamente a ragione – che dai messaggi lasciati da lui traspare qualcosa circa un possibile momento di crisi, litigio o impasse nel rapporto, e qualcun altro lo legge, ecco che potrebbe scatenarsi in lei la gelosia.

Ad aver suggerito che la gelosia è femmina, specie su Facebook, è uno studio condotto dai ricercatori statunitensi dell’Università dell’Alabama di Tuscaloosa, che ne hanno poi pubblicato i risultati sulla rivista Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking.
Nello studio sono stati coinvolti 226 giovani adulti, ambosessi ed eterosessuali, a cui è stato domandato loro di immaginare di aver scoperto una foto della persona più importante per loro in compagnia di un’altra di sesso opposto.

Oltre a questo, i partecipanti dovevano sapere di poter accedere all’account del proprio/a fidanzato/a e visionare le impostazioni della privacy e scoprire se la foto era visibile anche agli altri membri di Facebook.
I dati raccolti hanno infine permesso di scoprire che vi era una diversa risposta tra maschi e femmine. Nello specifico, le donne hanno riferito maggiori sentimenti di gelosia quando immaginavano quanto proposto dai ricercatori. Anche le probabilità che le donne fossero maggiormente gelose, rispetto agli uomini, si evidenziavano con un dato statistico di 6 donne su 9, contro 4 maschi su 9.

La faccenda cambiava anche in base alle impostazioni della privacy: se per esempio la foto “incriminata” non era visibile dagli altri membri di Facebook, la gelosia aumentava sensibilmente sia per le donne che per gli uomini, poiché secondo i partecipanti questo fatto era segno che il proprio lui o lei aveva qualcosa da nascondere.
Se, invece, la foto era visibile da tutti, allora il sentimento di gelosia scendeva tra i maschi, mentre restava ancora elevato tra le femmine.

Altro motivo di risentimento femminile era il possibile fatto che il proprio lui avesse, per contro, pubblicato poche foto che ritraevano la coppia di fatto.
Il risultato d’insieme fa emergere come un sentimento possa essere influenzato dall’immagine che la persona mostra, o non mostra, di sé.
«Questi risultati – spiegano i ricercatori – suggeriscono che la natura pubblica della potenziale infedeltà può influenzare le emozioni in modo diverso in uomini e donne. Le donne possono essere soggette a maggiori sentimenti negativi quando credono che gli altri possano pensare che lei non sia impegnata in una relazione a causa di una scarsità di prove a sostegno».

Spesso, fanno notare i ricercatori, la differenza sta in come le persone interpretano i fatti. Anche se non è necessariamente vero che lo scenario immaginato fornisse una prova di infedeltà, l’interpretazione che ne è stata data perseguiva questa ipotesi. Ecco pertanto che la realtà dei fatti può assumere connotati diversi a seconda di come una persona li interpreta, e non per come sono effettivamente.
«Facebook può essere un luogo in cui gli individui interpretano le informazioni ambigue in modo non ambiguo, e tale da produrre emozioni negative», concludono i ricercatori.